- Quel che è più cubano è sempre il più universale!
Frammenti delle Parole di Eusebio Leal Spengler, storiografo de L’Avana, pronunciate il 16 novembre del 2011, durante l’inaugurazione del Secondo Incontro “Gustare cose cubane”, auspicato dalla compagnia turistica Habaguanex S.A.
Frammenti delle Parole di Eusebio Leal Spengler, storiografo de L’Avana, pronunciate il 16 novembre del 2011, durante l’inaugurazione del Secondo Incontro “Gustare cose cubane”, auspicato dalla compagnia turistica Habaguanex S.A.
Quando si parla di cubanità, sorge un dubbio su quel che è cubano. E per questo dobbiamo partire dalle componenti fondamentali dell’alimentazione. Se scegliessimo un qualsiasi paese di Nuestra America con una tavola ricca di prodotti molto originali, io andrei prima di tutto in Messico, la cui gastronomia è imprevedibile anche per noi a volte, quando riusciamo a vincere quel tabù di certe cose, che noi abbiamo. Per esempio, ai cubani non piace mangiare, e non mangiano, e buttano con disprezzo la testa dell’aragosta, che in Europa è la parte più apprezzata, sempre e quando l’aragosta è fresca.
In Cina non immaginano, soprattutto i cantonesi, che i loro piatti di riso tanto severi e perfetti hanno sofferto una modifica tanto straordinaria come quella vissuta nel loro passaggio verso l’America. Il riso fritto così come si consuma a L’Avana non si conosce in Cina. È il nostro gusto. E il nostro non assomiglia per niente a quello del Perù, perchè manca del condimento fondamentale che i peruviani utilizzano essenzialmente nelle loro pietanze e che a noi è abbastanza estraneo: il culantro o cilantro.
“Cos’è la cucina cubana?” Dice uno: “Noi cubani non possiamo mangiare senza riso.” E ha ragione. In tre giorni entriamo in crisi, dovunque siamo, se non c’è il riso! Quel riso, senza il quale non possiamo vivere non è cubano. È giunto per due strade. Si dice che il Vicerè, Capitano Generale di Santo Domingo, Nicolás de Ovando, Commendatore di Lares, ordinò di piantare il riso a La Española, e questa era una via per far giungere il riso al continente. La seconda, viene con il galeone di Acapulco, che già nel XVI secolo imbarcava in questo porto e passava per tutto il Messico sino a Veracruz, L’Avana, Siviglia. Era il riso che proveniva dall’Oriente, dalle Filippine e dalla Cina. Il riso si trasformò allora in una parte della nostra dieta. Ed effettivamente, i cubani non possiamo mangiare senza il riso orientale, che gli arabi coltivavano in Spagna, soprattutto negli orti di Valencia.
Il secondo elemento: i fagioli neri. In questa semplificazione di quel che è cubano, si dice: “Quel che è cubano sono riso e fagioli neri.” Così che il fagiolo nero è anche americano. Manca un elemento fondamentale. Alcuni cuochi si stupiscono quando chiedo semplicemente un piatto delizioso, elementare, essenziale: riso bianco del buono, col chicco lungo, con un grande uovo fritto sopra, Già è la qualità dell’uovo, sia di Pitu de Caleya, come dicono gli asturiani – che vuol dire pollo ruspante-, o creolo, come diciamo in Cuba, un uovo uniforme, ugualitario, e punto.
Allora, riso bianco , fagioli neri e uovo. Qui non c’erano galline; le uova che mangiavano gli indigeni erano degli uccelli migratori. Ma la gallina viene con gli spagnoli. Se i primi 36 cavalli giunsero 500 anni fa con la cavalleria portata nell’Isola da Diego Velásquez de Cuellar, sotto la bandiera di Castiglia, la gallina venne con loro o anche dopo. E ovviamente il gallo di Jerez, che portò con sè anche le lotte tra galli, la piccola battaglia che è la nostra sorte e che gli arabi già coltivavano e curavano. La gallina di Castiglia portò l’uovo che conosciamo, e dopo sbarcò la gallina di Guinea (faraona), le cui uova non piacciono molto perchè sono a macchiette e, si dice, un poco più dure. Le ho mangiate e mi paiono, come quelle delle anatre, eccellenti, ma il più morbide, il più gradevole è l’uovo della gallina di Castiglia. Nessuna delle tre cose che ho citato sono cubane.
Per ultimo, un’abitudine molto cubana è unire il dolce al salato, cosa che facevano anche gli arabi con i loro deliziosi piatti. Ma manca l’elemento degli elementi: il piatto nazionale. Chi è il responsabile di questo? Cristoforo Colombo. Gli italiani lo chiamano maiale, ma ha molti nomi: chancho, cabeciagachao, cerdo -quel che è il suo nome - il porco. Ah, e qualcosa che non mangiamo in Cuba, salvo in alcuni luoghi, perchè siamo molto umanitari e ci fa impressione, ci pare un crimine, è il maialino ancora da latte e che pesa la massimo dieci chili Non ci sono dubbi che dobbiamo studiare tutto questo, e che ci sono cose essenziali della cucina popolare cubana che non ritroviamo in nessun altro luogo. Por esempio, una minuta, una bistecca ben impanata, qualcosa di così semplice come questo, che è cibo cubano casalingo. E così ne potremmo preparare una collezione. Succede esattamente lo stesso con i dolci. Non ci sono scuse per non avere un buon “Boniatillo” in un ristorante, come piatto anche elegante, perchè quello che, come il baccalà, ieri era popolare nel mondo, oggi è cibo da ricchi. Concludo facendo un richiamo perchè si studi la cucina universale e si conosca il cibo di ogni popolo. I nordamericani, che sono alle porte, vengono in continuazione e sono nostri clienti; giungeranno a milioni a Cuba quando s’eliminerà l’iniquo blocco. Loro non possono far colazione senza fiocchi di granturco, perchè questi sono stati inventati in nord America nel secolo scorso, dal signor Kellogg, e a partire da quel momento non c’è un solo statunitense che possa far colazione senza fiocchi di granturco, ma anche senza pancetta fritta, cioè quel che loro chiamano bacon e noi pancetta. E gli italiani non si possono sedere a nessun tavolo per mangiare una pasta schifosa, che non sia la loro pasta ben cucinata con il pomodoro americano che il nostro privilegio.
Chi in Italia direbbe che il pomodoro è di Nuestra America? Chi direbbe che in Svizzera, in Belgio o in Germania, che oggi vivono del cacao, che il cacao è nostro e che l’Ecuador è il primo produttore di cacao del mondo? E che a Baracoa di Cuba, che appena compiuto 500 anni, la gente buona e ospitale, praticamente regala a uno, sottovoce, una palla di cacao preparata in casa? Dobbiamo allora cercare quel che è nostro, approfondire quel che è nostro. Sto evocando un’arte che non si deve perdere. Nell’universale il particolare e nel particolare quel che è cubano. Siamo capaci anche di conquistare la libertà nella cucina cercando il nostro proprio cammino. Ricordando che “quel che è più cubano è sempre il più universale!”